pirateria

A cura della Dott.ssa Virginia Tenuta

È uno di quei fenomeni dei quali difficilmente la legalità riuscirà a liberarsi. Nel tempo si è trasformato di pari passo con l’evoluzione delle esigenze del mercato, così riuscendo ad attraversare le generazioni. Parliamo della pirateria, nella sua forma contemporanea più diffusa, quella digitale, disciplinata e sanzionata dalla legge sul diritto d’autore (663/1941).
Diverse sono le fattispecie che rientrano nel concetto di pirateria.

Il download, che sia di software o file protetti da licenza, è punibile con una sanzione pecuniaria che va da 134 euro a 1032 e con confisca del materiale illegalmente acquisito. La materia diventa penale quando all’appropriazione di materiale protetto segua la condivisione dello stesso (file sharing). La diffusione a scopo di lucro di opere protette da copyright comporta la reclusione da 6 mesi a 3 anni e alla multa da 2.582 a 15.493 euro. La sanzione è ridotta, ma il fatto continua a costituire reato, quando l’operazione di file sharing è compiuta senza perseguire alcuno scopo di lucro. Si ritiene però che in essa possa incorrere anche chi scarica musica o film tramite programmi come Torrent, che essendo basati su un meccanismo P2P creano automaticamente nuove linee di condivisione e distribuzione a partire dal download del singolo utente.

Mentre commette il medesimo reato anche il titolare del sito presso il quale è possibile accedere alle funzioni di streaming, cioè la semplice fruizione del materiale protetto riservato agli abbonati, giacché tale condotta rientra nell’ambito dello “sharing”; la norma non disciplina con chiarezza la posizione di quello stesso utente che si limita soltanto ad usufruire del servizio di streaming.

L’art.174-ter della nostra legge di riferimento punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 154 anche il singolo utente che “utilizza” senza fini di lucro e profitto, con qualsiasi procedimento, opere o materiali protetti.

Il verbo “utilizza” sembrerebbe prestarsi a diversi significati, tra i quali proprio la fruizione streaming, tuttavia la poca specificità della norma potrebbe indurci a ritenere che la fattispecie non sia di per sé disciplinata e che, pertanto, potrebbe applicarglisi il divieto di analogia proprio del diritto penale, impedendo l’applicazione della norma oltre i confini della lettera del testo.

In ogni caso, già nel 2007 il Tribunale di Roma negava alla ricorrente, la casa discografica Peppermint, il rilascio dei nominativi collegati agli IP degli utenti che scaricavano e condividevano le canzoni delle quali deteneva i diritti, sostenendo che il diritto alla privacy è un bene superiore al diritto d’autore e perciò gode di tutela maggiore. Se tanto è avvenuto nel caso in cui gli utenti si erano spesi fino a scaricare e condividere il materiale protetto, sembra difficile che un giudice potrebbe autorizzare una deroga alla tutela della privacy quando questi si siano limitati alla sola fruizione senza scopo di lucro.

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